Primo giorno del Summit Upa. E AssoComunicazione sta a guardare
12/03/2009
Per fortuna c’era Finzi. Perché quello che sulla carta avrebbe potuto apparire come il più scontato degli interventi, è stato l’unico a mettere il dito sulla piaga. Abbandonando la strada più ovvia del racconto dei dati dell’ultima ricerca sul Futuro della Pubblicità, di recente esposti, allontanandosi dalle linee del ‘predicato’ ottimismo che ha caratterizzato la prima giornata di Summit e soprattutto non dovendo promozionare nulla a nessuno, ha sintetizzato la situazione attuale nel paragone con il parto. Lungo e faticoso, dà la vita al nuovo. Non solo, modifica per sempre anche coloro che, volenti o nolenti, ne sono stati coinvolti. Insomma, le cose sono già cambiate. Ma in troppi non se ne sono ancora accorti. E di AssoComunicazione, sul palco, nemmeno l’ombra.
Chiariamo subito. Non è che non abbiamo preso visione del programma completo. Sappiamo che oggi Masi tiene il suo discorso e che il tema della mattinata sarà la pubblicità e gli strumenti di comunicazione. Ma pure ieri, in merito alla disamina del consumatore e all’evoluzione dei mezzi, la mancanza di voce s’è fatta sentire. Ci aspettavamo più contraddittorio. Più esperienza di peso. Più integrazione. Più visione. Più impulsi. La percezione è che gli operatori di questo mercato non ci abbiano fatto una grande figura, nonostante la loro consapevolezza sia in realtà superiore alla profondità con cui gli argomenti sono stati affrontati ieri sul palco.
Insomma, senza offendere nessuno, ci è parso che gli interventi fossero rivolti a una platea da alfabetizzare, più che a un pubblico da stimolare. Con la carrellata pomeridiana dei rappresentanti dei diversi mezzi a ricordare quanto avrebbero potuto dire anche in una convention a loro dedicata, tanto è stata preminente la ragione del singolo business.
Ma torniamo ai contenuti. E’ difficile sintetizzare una giornata di interventi in poche righe. Soprattutto volendo uscire dal seminato del ‘ha detto’, ‘ha fatto’, puntando a trasmettere gli input più rilevanti, l’essenza di quanto ha senso aggiungere al bagaglio individuale sino ad oggi costruito. Partendo con il citare Alberto Alesina, il suo intervento ha inquadrato il senso della nostra situazione attuale all’interno di un’analisi macroeconomica globale che non lapida il capitalismo, certa che dalla crisi si esce, implorando pure la comunicazione, perché il pessimismo dei media gioca la sua nefasta parte.
Applaudendo Arianna Huffinghton, co-fondatrice dell’Huffington Post, arrivato oggi a 20 milioni di utenti unici mensili senza aver speso una lira in strategia. In lei c’è l’essenza del nuovo. Un cambio di registro. Un modo diverso di fare informazione. Con le storie che non scadono mai. Il giornalismo investigativo, i contenuti degli utenti a diventare fonte di notizia, il lavoro di mediazione. Non tutto quello che viene dal basso, infatti, vale. Ben trenta le persone impegnate allo scopo, per garantire velocità, immediatezza, trasparenza e intimità, ma in un contesto ‘civile’. E guardando dritto ai fatti, nonostante i blog vivano di opinioni. Individuando nell’assenza di unione tra on e off line il limite della nostra stampa, Corriere e Repubblica esplicitamente citati.
E tra gli stranieri ha partecipato anche Andy Sernovitz, teorico del Word of Mouth Marketing. Onestamente ci aspettavamo qualche cosa di più. Pur concordando con il valore dei concetti da lui esibiti, infatti, non sono riusciti ad arricchire il sapere di chi un minimo l’argomento lo mastica. Potendo sintetizzare l’intervento in sole tre righe: Il brand non è quello che l’azienda dice di lui, ma quanto gli altri dicono sul suo conto. Con conseguente importanza del passaparola, del far parlare, del diffondere viralmente, ascoltando e rendendo facile la conversazione.
Più interessante il Mainardo de Nardis pensiero, almeno per coloro ai quali suonava inedito. Per lui la situazione è già cambiata. Gli adulti di domani (18-24) stanno già attivamente online. La complessità aumenta. Perché tutto si mescola. La specializzazione ora ha bisogno di integrazione, per riportarsi all’interno di una medesima idea. Tanto che da un’organizzazione basata sulle discipline si passa a un modello basato sul consumatore. Regalando alcuni consigli pratici, da applicare qui e ora:
- Ascoltare. Clienti, mercato, concorrenti
- Usare la testa. Trovare sempre il tempo per pensare e riflettere
- Cut deep cut early, per dirla all’inglese
- Concentrazione tattica. Perché per pensare al lungo bisogna garantirsi il breve
- Leadership, ma anche identificazione, protezione e cultura dei talenti
- Realizzare tutto quello che si misura, altrimenti non è priorità
- Rinnovare e cambiare
- Ridiscutere il proprio modello di business
- Ottica win win, dunque di crescita
E, per finire, i dieci minuti di Enrico Finzi che, eliminando ogni dubbio dichiara non si tratta di crisi congiunturale, quanto della fine di un ciclo iniziato nell ‘80. Quello che sta succedendo è sotto gli occhi di tutti. Maggiore sensibilità al prezzo, maggiore sobrietà, selettività, distinzione, bisogno di rassicurazione, di etica, infedeltà. Con la tecnologia a farsi driver dell’innovazione. Digitalizzazione, molteplicità, deversificazione, convergenza. Insomma, esigenza di nuovi media mix, che sappiano convivere con la frammentazione delle fonti e le conseguenti minori coperture.
Favorendo l’entrata di nuovi player, di operatori prima estranei al sistema. Con il marketing che diventa comunicazione e viceversa, alla ricerca di nuove competenze integrate e integranti. In una selezione darwiniana in cui a vincere saranno i migliori intrecci, in termini di costi, tempi di realizzazione, integrabilità, efficacia. Senza dimenticare che le nostre aziende impiegheranno quote sempre maggiori del loro budget in comunicazione sul mercato internazionale. E che tutto questo è conseguenza normale del capitalismo, che si rinnova con distruzione creativa.
Certi che il nuovo mondo in definizione ci farà soffrire per la perdita. Di controllo, sui contenuti e sul customer, e di profittabilità. Sottolineando la ribalta dell’intelligenza gestionale. Ma anche della creatività, mezzo per aumentare il communication Roi. Tanto che la vicinanza al media diventa necessità, non escludendo la rivalutazione vecchi concetti ‘full service’.
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