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Mutti/Luigi Rainieri: sì all'agenzia che sa imporsi

11/07/2007

Fare quello che vuole il cliente. Ossia come non essere l’agenzia ideale per Mutti. Youmark ha incontrato Luigi Ranieri, direttore marketing di quello che in meno di 3 anni è diventato un brand da ricordare, passando dal sesto al secondo posto nella classifica dei  top of mind. Per lui la tv è ancora indispensabile, perché a decidere è sempre il target.  Meno certo sul ruolo del centro media, pur se impagabile per le analisi.

Essere una ‘commodity’ lascia poca libertà di scelta. O continui a sopravvivere realizzando grandi volumi conto terzi, o decidi di diventare marca di riferimento.
E’ l’inizio della storia Mutti, l’azienda che, anche grazie alla comunicazione, ha saputo cambiare pelle, imponendosi non solo nel ‘concentrato’, ma anche con ‘polpa’ e ‘passata’.

Ranieri non ha dubbi: “Se l’obiettivo è la totale penetrazione, la tv è il media”. Non a caso, Mutti volendo raggiungere il 100% delle famiglie italiane, non ci rinuncia, lasciando a forme di comunicazione più innovative, spot virali in testa, il compito di parlare a particolari target, di particolari prodotti.

Com’è per Mutti il partner di comunicazione ideale? Quali le strutture con cui collaborate attualmente?
"Aldo Biasi è la nostra agenzia, storica. Vogliamo collaborare con chi ha il coraggio di portare avanti le proprie idee, con chi non fa quello che gli viene chiesto, ma quello che ritiene più giusto. L’agenzia ha il dovere di dire no al cliente".

Quanto spendete all’anno in comunicazione?
"Tra Italia ed estero, circa 4 milioni e mezzo. Cui si aggiunge mezzo milione circa, investito in rp ed eventi. La quota del mercato italiano è decisamente superiore, l’80% del budget complessivo. Rispecchiando anche la composizione del fatturato".

Come e dove investite all’estero?
"In Slovenia e Croazia facciamo televisione. In Svezia e Belgio, soprattutto rp".

Credete nella comunicazione olistica?
"Crediamo sia una bella moda. Riteniamo che le agenzie integrate rappresentino agglomerati di realtà differenti. Un’integrazione più di forma che di sostanza, avvenuta grazie a partnership e nuove acquisizioni. Continuiamo a preferire la specializzazione".

Chi è il vostro centro media, quale ruolo gli affidate?
"Mediacom. In effetti, spesso, ci chiediamo se il centro media serva ancora. Sicuramente non per le trattative di acquisto. Sicuramente sì per l’attività di analisi delle campagne, specie ex post". 

Si dice che il largo consumo fletta i suoi impegni in comunicazione. Noi azzardiamo, è perché la grande distribuzione pretende di 'rubargli' il posto?
"Le ragioni sono diverse. In primo luogo la crisi, che porta sempre a momenti di riflessione. Poi, la prepotente entrata in comunicazione di settori quali le telecomunicazioni e il creditizio, che inevitabilmente hanno fatto aumentare i prezzi, lievitando la domanda. Infine, il ruolo delle insegne, sempre più attivo, coesistente con le politiche di marca. Ma si dovrebbe trattare di uno sforzo teso a comunicare il posizionamento delle diverse catene e non, come accade, operazioni promozionali".

Un esempio di insegna che utilizza la campagna per creare il proprio posizionamento?
"L’unica che mi viene in mente è Lidl, che parla del suo valore caratteristico: il minor prezzo".

 

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