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La torta degli investimenti media in Cina
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Zambarelli/Gruppo Next: giganti e nani ammazzano il business in Cina

29/01/2009

Perché sono le esagerate aspettative, ma anche la paura di non emergere in un contesto così allargato, a frenare le occasioni. Anche nel comparto della comunicazione. La Cina, infatti, è seconda solo agli Stati Uniti per valore del suo mercato pubblicitario. Peccato che non si pensi a come ‘sfruttare’ quei 44,5 miliardi di dollari. Oltretutto in crescita, visto che negli ultimi due anni il segno più ha preceduto un bel 12%. Nel corso dell’incontro dedicato alla Cina che ha inaugurato, ieri a Milano, il ciclo di Conversazioni Iaa sulle prospettive dei mercati internazionali, youmark ha incontrato Domenico Zambarelli, presidente di Gruppo Next, primo connazionale ad aver assunto mandati commerciali da parte di editori cinesi nei confronti di Europa e Russia.

Più precisamente, la rappresentanza di due canali televisivi, uno dedicato ai cinesi nel mondo, rigorosamente in lingua, e l’altro all news in inglese, con taglio worldwide. Ricordando che anche quel mercato è tv centrico. La tradizionale, infatti, se sommata alle declinazioni new media copre oltre l’80% degli investimenti (da sola il 74%), caratterizzandosi per parcellizzazione dei canali e per tendenza alla tematizzazione. 

In ogni caso un’opportunità per molti. Perché qui interesse lo creano in primo luogo le cifre. Ragionando in termini di audience, ma anche di possibili consumatori, significativa è la stima Tns China Source Book, secondo cui le 274 città cinesi ospitano più di un milione di abitanti e sono ben 547.286.000 i cellulari complessivamente posseduti, tanto per dare un valore emblematico della portata di questo mercato. Che non si smentisce nemmeno quando ad essere investigata è la raccolta pubblicitaria, con una performance che nel 2007 è valsa circa 44.6 miliardi di dollari lordi, escludendo internet e new media, come ad esempio gli Lcd posti nei building commerciali e professionali. In termini di crescita, +12% negli ultimi due anni. Facendo sgranare gli occhi agli europei, alle prese con perdite diffuse. 

Eppure, al contrario di quanto stanno mostrando di saper fare Francia e Germania, la presenza italiana langue. E senza voler entrare nel merito di tutte le problematiche legate al nostro ‘sistema paese’, sicuramente vale la pena di sollecitare la possibilità di creare nuovi prodotti editoriali lì, da soli o in partnership locali. Sempre che si capisca come affrontare questo mercato, da approcciare sulla base di aree regionali, per non esser schiacciati dal gigantismo di aspettative esagerate, ma nemmeno dalla paura di non emergere in un così vasto territorio

Consci che la sua espansione ha un prezzo, richiedendo la Cina soglie di investimento d’accesso sicuramente più elevate di altri mercati esteri. Per non dimenticare che l’attuale loro esigenza di riposizionare il brand Cina nel mondo rappresenta un’opportunità per la comunicazione europea. Sperando che le agenzie italiane sappiano sfruttarla.

 

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