Se l’agenzia fa i conti con l’estero, i vertici parlano diplomatico
26/06/2007
Da un lato il business internazionale, lo zoccolo duro che permette alle sigle locali parte di network di sopravvivere. Dall’altro il mercato locale, a cui si guarda per rafforzare conti e risultati. I manager a capo di queste strutture non hanno vita facile. E quando tutto non fila per il verso giusto, ‘nuove’ foze vengono innestate per raddrizzare la rotta. Non ultimo il quasi certo arrivo di Alessio Fronzoni in Lowe Pirella.
Ma quali sono le doti per restare saldi sulla poltrona? Lo abbiamo chiesto a cinque professionisti, con profili diversi: da chi con l’oltre frontiera dialoga da anni (Alfonso Costantini, Guerino Delfino, Giorgio Lodi) a chi ha iniziato a parlare una lingua diversa solo negli ultimi tempi (Pietro Dotti), a chi ha provato e poi deciso che è meglio non doversi relazionare con nessuno (Lidia Roscelli). Le voci, però, sono unanimi. Guai a non tener conto degli imput stranieri, sempre forti di una buona dose di diplomazia.
Alfonso Costantini, consigliere e direttore generale Euro Rscg Milano
“Il rapporto con l’internazionale per strutture come la nostra, che vivono almeno al 40% grazie ai clienti esteri, è fondamentale. Sono i clienti internazionali che hanno, tra l’altro, permesso la nascita dei network. Quando si accetta di entrare a farne parte non si può prescindere da essi e non si può non ascoltare i loro interessi”.
Guerino Delfino, presidente e amministratore delegato Gruppo Ogilvy Italia
“E’ sempre più difficile convivere con le due anime dell’internazionale e del nazionale, anche perché il mercato locale si riduce di giorno in giorno, non premiando il valore. A differenza di quello che riscontriamo con i clienti internazionali, che oggi più che mai sono alla ricerca della big idea, guardano avanti puntando a strategie di lungo respiro, a rapporti che si consolidano nel tempo e fanno un uso intelligente dell’integrazione dei mezzi, new media in testa. La flessibilità è d’obbligo, perché certe competenze e certe professionalità non possono mancare in una sigla che gestisce budget esteri, mentre oggi il mercato locale è più tattico e meno strategico. E’ il problema di essere glocal. Prendiamo la nostra neo@ogilvy, specializzata in consulenza strategica e planning nel digitale, richiesta e utilizzata dai clienti internazionali, poco compresa da quelli locali. In pratica, ci troviamo a interloquire con due mondi diversi”.
Pietro Dotti, presidente e amministratore delegato Jwt
“Innanzitutto bisogna seguire l’internazionale con le logiche del Gruppo e poi cercare di far crescere localmente l’agenzia. Il che non è facilissimo, anche perché i budget internazionali chiudono a priori l’accesso ad alcuni clienti locali. Per esperienza personale posso dire che è molto più difficile lavorare in una sigla multinazionale rispetto a una nazionale. La capacità di gestire i rapporti diventa fondamentale e segue logiche politiche, nonché diplomatiche”.
Lidia Roscelli, partner Ovni
“I clienti internazionali richiedono professionalità ad hoc e sono professionalità che non si improvvisano. Le dinamiche di gestione sono diverse da quelle dei clienti locali. Bisogna essere capaci di grandi mediazioni, sia all’interno del network di cui si fa parte sia della holding a cui si fa capo. Non sempre le esigenze nazionali e internazionali collimano e qui entrano in gioco le doti diplomatiche. La globalizzazione è più facile a dirsi che a farsi e un manager che deve avere rapporti con l’internazionale deve possedere una expertise internazionale. Il problema è che in Italia le figure più ‘giovani’ di spicco sono poche e, purtroppo, c’è una totale esclusione del femminile. A parte poche e rare eccezioni, come Milka Pogliani e Anna Innamorati, entrambe in McCann Erickson, non abbiamo altre Segolene Royal. E’ un mondo estremamente maschilista”.
Giorgio Lodi, chief executive officer Publicis
“Conta sia il mercato internazionale sia locale, e quindi bisogna essere in grado di gestire entrambi al meglio. Credo che in quanto a professionalità non siamo meno di altri Paesi, perché all’estero non ho riscontrato grandi eccellenze manageriali. I requisiti sono quelli che vengono richiesti a tutte le persone che devono guidare un’impresa. Tra cui competenza, capacità di gestione e anche una buona dose di diplomazia”.
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