Creatività come fine
18/11/2008
La settimana della cultura d'impresa è giunta alla settima edizione. Ieri, a Milano, si è espressa attraverso il convegno ‘Il fattore creatività, nuove culture d’impresa nell’economia della conoscenza’. Considerando la stessa fattore di competitività, di eccellenza, di valore del brand Made in Italy. E interrogandosi su come riuscire a radicarla nella cultura d’impresa. Youmark vi propone lo stralcio dell’intervento di alcuni relatori. Ricordando che il 2009 è stato proclamato dal Parlamento europeo ‘l’anno della creatività e dell’innovazione’.
Partiamo dalle conclusioni. Perché è emersa forte l’esigenza di fare rete. Ma anche la necessità di connessione con il territorio. La conoscenza del contesto culturale e sociale di riferimento, la capacità di valorizzare le competenze individuali, di investire in ricerca a medio lungo termine. Ma, soprattutto, il gap tra formazione e realtà. Con le aziende a lamentare l’eccessiva teorizzazione, contro la cultura del saper fare, del provare sul campo, della materialità della creazione. Così che la scuola non pensi solo a immettere, insegnando pure a espellere, a buttare fuori quanto elaborato. Tanto da rimpiangere le scuole professionali, che nelle esigenze concrete della ricerca di risorse dovrebbero trovare linfa di rinascita.
Mostrando come il modo italiano di intendere la creatività segni un po’ il passo. Troppo vicino al prodotto, tralasciando, invece, il progetto, oggi cruciale. E risulta tanto più evidente in settori come quello della moda, dove è stato ampiamente superato il sistema pret a porter, ma dove l’italianità stenta a trovare una nuova via per emergere, oltre i mostri sacri di sempre.
Tanto che lo stesso essere impresa diventa atto creativo. Nel quale il prodotto è espressione secondaria. Subordinata alla definizione di un canale distributivo, di un target. Insistendo sulla capacità di fare rete. Di collaborare, condividere. Perché l’innovazione si diffonda all’interno dell’organizzazione, via per la traspirazione esterna.
Così che la creatività non sia mezzo di produzione, ma fine di sviluppo. Esercizio di pensiero, contro un conformismo che assorbe, che incita a ragionare tutto sotto forma di utilità immediata, ai danni della libertà. Sapendo che l’idea nasce dallo spostamento, dall’immissione di un osservatore esterno, dall’imprevedibilità, dalla dimensione spuria.
Non a caso, è difficile costruire condizioni precostituite per attirare creatività. E lo dimostra lo scarso successo raccolto dalle politiche in merito attuate da città come Barcellona o Berlino. Indicando, invece, il monitoraggio quale ruolo delle istituzioni, sapendo tempestivamente riconoscere e valorizzare la creatività che nasce.
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