Pastore/Brand Portal: il bene è il prodotto. Il male azionisti lontani e la borsa
25/09/2008
C’è chi non lo sapeva. Chi se ne sta accorgendo ora. Chi da tempo lo prevedeva. Gianluca Pastore, amministratore delegato Brand Portal, è fiero di trovarsi tra quest’ultimi. Al punto da aver costruito sul valore di una superspecializzazione multidisciplinare il suo modello. Con al centro il prodotto. Che qui è capacità. Di utilizzare differenti strumenti e mezzi, senza considerare l'advertising il perno. E oggi, che a mettere nero su bianco la necessità di una rivoluzione è la stessa Upa, sente di poter dire la sua. Pur conscio che, a guardare i dati, non c’è troppo da gioire. Non solo per la recessione in corso, ma per la lentezza con cui noi italiani realizzeremo il cambiamento che ha da venire.
E’ in questo senso, infatti, che l’invito al pragmatismo diventa fondamentale, guardando al divenire proprio partendo dall’analisi più vera della nostra realtà. Perché al di là delle prospettive, è confermato che il processo di modernizzazione della comunicazione italiana procede con tempistiche non certo rivoluzionarie.
Sorpreso?
“No. Se da un lato mi conforta vedere che le nostre scelte corrispondono a una contemporaneità che in Italia oggi si inizia solo a definire, rivelandosi in un certo senso visionarie rispetto al tempo della loro adozione, dall'altro era scontato che a tenere fossero ancora gli investimenti tradizionali. Includendo in essi anche internet, che ormai è anacronistico chiamare new media”.
Cosa reputi più interessante della situazione attuale, quale la ‘verità nascosta’ di cui ti compiace la scoperta?
“Più che di scoperta, parlerei di riscoperta. Visto che l’evoluzione guarda al prodotto. Un ritorno ai fondamentali, dunque. E lo stesso vale anche per le agenzie e i media. Smettendo di anteporre a tutto il modo di vendere. Per un prodotto nuovamente protagonista. Così come la marca, che per esso è linfa, strumento per riuscire a moltiplicarsi. Nel nostro caso si tratta della superspecializzazione del servizio, abbracciando la molteplicità degli strumenti esistenti”.
E che dire del dialogo agenzia - cliente. Insomma, se esistono realtà come la vostra già pronte a offrire nuove visioni, perché le aziende stentano a fare il salto, a sperimentare?
“Perché in Italia la rivoluzione non è ancora avvenuta. I dati parlano di investimenti molto più simili a quelli di diecianni fa, che a quelli dei prossimi dieci. E’ fondamentale distinguere tra la voglia di vedere e quella di fare sperimentazione. Maggiori saranno le case history innovative realizzate, più sarà facile ‘contagiare’ il mercato”.
Che, ricordiamo, non sta vivendo uno dei suoi momenti migliori, tanto che la tv continua a rappresentare il mezzo più amato, se non altro perché veloce e dai risultati immediati. Difficile rischiare in un periodo di vacche magre, non credi?
“Credo che molto dipenda anche dalla capacità di noi interlocutori professionali di presentare progetti capaci di relazionare direttamente obiettivi e risultati, mostrando l’influenza sul fatturato. Oggi l’advertising tradizionale non è più il perno della comunicazione. Evolve all’interno di un sistema complesso”.
Da dove si deve partire per definire tale sistema?
“Dall’analisi dell’audience. E' questo il vero argomento su cui discutere”.
Credi che i prossimi anni porteranno a una scrematura delle realtà di comunicazione esistenti? In che direzione?
“Realtà il cui fatturato è per l’80% advertising non possono dirsi multispecialistiche. Anche in ottica remunerativa, dubito che le aziende saranno disposte domani a pagare di più quanto oggi costa loro meno. E’ necessario che il mercato si riorganizzi, con un numero minore di interlocutori, più professionalmente preparati, che giustifichino il fatto di voler essere pagati meglio”.
In questa corsa alla superspecializzazione multidisciplinare non è che centri media e agenzie si faranno concorrenza, cercando di soppiantarsi a vicenda?
“Nessun ragionamento di comunicazione può oggi prescindere dal media, che ha un ruolo determinante. Ma deve trattarsi di consulenza, non solo buying. Chi vincerà? Mi sento laico, tifo per il migliore”.
A Brand Portal fa paura questo 2009?
“Non guardiamo ai dati come propensione a investire, ma analizziamo le quote di mercato dei diversi comparti. Il nostro servizio ha uno spettro molto ampio. Non ci fa paura se alla marca serviranno più le rp dell’advertising. Perché il fine non è il fatturato di breve, ma il rapporto con il cliente nel lungo. Il bene delle marche dei clienti è il patrimonio dell’agenzia, perché coincide con il nostro bene. Non a caso, il 99% dei rapporti in essere è di lungo periodo”.
Insomma, più che il fatturato il servizio. Ma non tutti possono ragionare così. Significa che a vincere domani saranno solo le sigle indipendenti o che non hanno obblighi di borsa?
“Indipendenza significa possibilità di concentrarsi sul prodotto, liberi dalle imposizioni di azionisti lontani, magari anche quotati in borsa. Per noi non conta il breve termine, ma l’annuale di marca”.
guarda tutti i Nice to meet You